Perché scatto le mie foto?

Perché scatto le mie foto?

Perché scatto le mie foto? Cosa mi porta a fare click?

Ho da poco fatto un workshop, organizzato da Leica Akademie e F2 Progetti per la fotografia, con il fotoreporter Gabriele Micalizzi. 

Il focus del workshop era far capire come creare una storia avvincente attraverso lo scatto di una serie di foto.

Ci veniva dato un “assignment”, un titolo per la storia da raccontare, e con questo si usciva in strada e si cercava la storia adatta.

La street photography, così come dicevo in questo articolo, se fatta fine a se stessa, senza l’intento di passare qualcosa a chi osserva la foto scattata, è inutile. Ma soprattutto non è nata in quest’ottica.

Per il tipo di fotografia che mi piace scattare la street photography mi calza davvero bene.

Mi piace osservare le persone. Sono curioso per natura e l’idea di raccontare una mia storia usando un frame della vita di qualcuno mi piace davvero molto.

Ovviamente, trattandosi di street photography, non si riuscirà quasi mai a portare a casa esattamente quello scatto preciso. 

Nelle strade le cose accadono intorno a noi all’improvviso. 

Non è un set dove posizioni la luce a favore di camera, ti crei la tua composizione con calma e ragionamento. 



Nella street photography devi seguire il tuo istinto. Andare là dove senti un richiamo e aspettare. Aspettare con pazienza che qualcosa si componga. 

La prima importante lezione di questo workshop l’ho appresa osservando.

Durante una sessione di scatto ho avuto il piacere di vedere all’opera Gabriele. 

Eravamo al mercato del pesce di Catania. 

Lo vedo che trova la composizione che gli piace. In quel momento si immobilizza. 

Lo vedo restare in quella posizione per almeno 5 minuti. E poi click. 

Uno scatto preciso, studiato. Non si è affidato totalmente al caso. Ha trovato una situazione e sapeva che se avesse aspettato il giusto qualcosa sarebbe successo. 

E così è stato.

Decido di imitare questo approccio. 

Nella mia vita fotografica ho sempre scattato con la fame di portare a casa quello scatto.

Spesso vedo una situazione e mi sembra di essere in ritardo. Come se ciò che ho davanti potesse sparire da un momento all’altro. E così scatto, pur di avere quella foto. Ma spesso il risultato di quel click non mi soddisfa. 

Trovo sempre qualche imperfezione, una luce che non mi piace, un soggetto di troppo,… Insomma, uno scatto frettoloso.

Cambio tecnica, imito Gabriele.

Mi sposto dalla zona centrale del mercato. Vedo molto fumo al di là di un cavalcavia. Mi avvicino e vedo un uomo che cucina dei carciofi sul suo banchetto. 

Fumo al carciofo

Quel fumo crea un’atmosfera surreale grazie all’aiuto della luce del sole.

Cerco l’inquadratura che più rende questo gioco di luci e… Aspetto.

Quando ormai sto perdendo le speranze qualcosa accade. 

Vedo spuntare un uomo di colore da una strada laterale. Ha con sé un passeggino con sopra la sua spesa. Accanto a lui, su un muretto, una ragazza bionda sta osservando il suo telefono da 10 minuti buoni, estragnata dalla realtà. 

Al centro della scena appare il soggetto che più dà senso alla composizione. Un pescatore che con il suo motorino passa senza casco, con gli stivali da pesca e un catino blu alla sua sinistra. 

Vicino a lui un vecchietto osserva con fare poco attento un banchetto, nella tipica “posa dell’anziano”. 

 

Tutto questo dura un secondo. Un secondo della vita di quattro persone che si incontrano nell’inquadratura della mia macchina fotografica.
Click.

Una serie di Cliché

La seconda cosa che mi porto dietro da questo weekend di fotografia è il non aver paura di inquadrare persone per noi interessanti.

Il primo giorno di lavoro, Gabriele ha voluto vedere il nostro portfolio. Un “errore” di approccio che ha riscontrato in molti di noi è lo scattare il nostro soggetto di spalle. O c’è un motivo per farlo oppure è da evitare.

Il volto della persona scattata, la sua espressione e il contesto in cui è immersa danno molti più spunti narrativi di una schiena.

Frustrazione e indifferenza

Ultimo consiglio di cui voglio parlare in questo articolo è: darsi un obiettivo. 

Darsi una storia da raccontare. Spesso usciamo a scattare senza avere in testa una storia. Dandosi dei paletti si scatteranno cose che magari non si sarebbero normalmente prese in considerazione.

E qui torno alla domanda iniziale. Perché scatto? 

Nel mio caso è per raccontare qualcosa di una persona, un aspetto della società a cui appartiene. Un piccolo spaccato del suo modo di vedere il mondo, magari diverso dal mio modo di osservarlo.

Tempo fa parlai con un mio caro amico, ex compagno di classe delle superiori, oggi uno dei miei fotografi preferiti. 

Lui è un gallerista e il suo modo di scattare è legato molto all’arte. 

Nelle sue foto, che siano un ghiacciaio in Groenlandia, o una strada poco illuminata di Seoul, riesce a passare un’emozione molto forte. Poco precisa ma sicuramente chiara in chiunque guardi un suo scatto.

Gabriele fa la stessa cosa ma in modo più logico. È un fotoreporter, pertanto il suo lavoro è raccontare qualcosa con una macchina fotografica. I suoi scatti toccano qualcosa di ben preciso, uguale in tutti noi.

Mi piace inserirmi tra questi due modi di vedere la fotografia. 

Raccontare qualcosa in modo preciso ma che allo stesso tempo susciti in chi guarda lo scatto, un’emozione diversa di volta in volta.

Cose importanti poco capite

Video dell’esperienza su YouTube: